Di L. De Palma, F. Greco, A. Santucci
Nel decorso clinico della spondilite anchilopoietica l’interessamento dell’articolazione coxo-femorale è frequente:
- 42% per Forestier.
- 33% secondo Wilkinson e Bywaters.
- 36% per de Sèze e Ryckerwaert.
Tale interessamento, secondo Julkunen, risulta essere bilaterale nel 53% dei casi.
Il trattamento chirurgico di un’anca colpita da questa affezione si è avvalso in passato di numerose metodiche (come osteotomie di direzione, resezioni artroplastiche, intervento di Voss, intervento di Milck, endoprotesi) ormai quasi del tutto abbandonate.
L’intervento di artroprotesi totale d’anca sembra essere in grado di risolvere i principali problemi che nella spondilite anchilopoietica il chirurgo ortopedico si trova ad affrontare, vale a dire l’anchilosi, il dolore, le posizioni viziate.
Per questo motivo numerosi autori hanno rivolto la loro attenzione alla terapia chirurgica sostitutiva della articolazione coxo-femorale in questa malattia con risultati incoraggianti.
I lavori sull’argomento riportati in letteratura presentano casistiche generalmente limitate:
- Ranieri (13 anche in 9 pazienti).
- Baldursson (18 anche in 11 pazienti).
- Ranjit (34 anche in 23 pazienti).
- Mogensen (9 anche in 5 pazienti).
La nostra casistica comprende 10 pazienti (8 uomini e 2 donne) dì cui 3 operati bilateralmente. L’età media è di 43 anni, con un minimo di 36 e un massimo di 54 anni. La durata media della malattia è di 17 anni (minimo 6, massimo 30).
Le indicazioni all’intervento di artroprotesi d’anca sono state da noi poste nei seguenti casi:
- Anchilosi dolorosa in flessione e abduzione.
- Anca rigida e dolente in buona posizione: 3 anche.
- Anchilosi bilaterale in buona posizione.
Le protesi impiegate sono state di 2 tipi:
- Artroprotesi di Judet (dal 1971 al 1975) in 6 anche
- Artroprotesi di Miiller (dal 1975 al 1981) in 7 anche.
Problemi chirurgici nell’intervento di artroprotesi d’anca
I problemi riscontrati all’atto chirurgico, rispetto all’intervento di artroprotesi nell’artrosi d’anca, sono stati di 3 tipi:
Anestesiologici
Riferibili soprattutto alla difficoltà nella intubazione oro-tracheale.
Internistici
Sia per la ridotta dinamica respiratoria riferibile alla limitata mobilità della gabbia toracica per la anchilosi delle articolazioni costo-sternali e costo-vertebrali (in 3 pazienti), sia per la compromissione cardiaca presente in tutti i casi e riferibile a turbe della conduzione dello stimolo e della ripolarizzazione ventricolare (Melina et al., 1978).
Chirurgici
Difficoltà nel lussare intraoperatoriamente l’anca, per cui, nella maggior parte dei casi, è stata effettuata preliminarmente l’osteotomia del collo femorale.
Nessuno di questi problemi è risultato di tale entità da sconsigliare l’intervento in questa malattia.
I risultati
I pazienti sono stati ricontrollati a distanza di 1-10 anni dall’intervento. I parametri clinici presi in considerazione in questa particolare patologia per la valutazione dei risultati sono stati i seguenti, in accordo con Arden et al. (1970):
- Dolore.
- Mobilità articolare.
- Capacità di deambulare.
I risultati clinici si possono così riassumere: in tutti i casi si è osservata la scomparsa della sintomatologia algica. Tutti i pazienti, inoltre, hanno ripreso a deambulare con sufficiente autonomia.
Per quanto riguarda la mobilità articolare, si è riscontrato il ripristino del movimento di flessione da un minimo di 40° a un massimo di 90° e di abduzione da un minimo di 20° a un massimo di 35°. Gli altri movimenti articolari non superavano i pochi gradi.
I criteri radiografici per la valutazione dei risultati sono stati:
- Segni di mobilizzazione.
- Segni di infezione.
- Ossificazioni periarticolari.
Radiologicamente non abbiamo osservato segni di mobilizzazione o di infezione. In 3 casi si sono riscontrati segni più o meno marcati di ossificazione (di grado 2 e 3, secondo la classificazione di Broocker, in 2 pazienti; di grado 4 in 1). In quest’ultimo caso l’ossificazione ha condotto alla rianchilosi dell’anca.
Le complicazioni osservate (2 tromboflebiti e 1 infezione superficiale) non sono risultate specificatamente riferibili alla patologia trattata.
Considerazioni
L’intervento di artroprotesi totale d’anca nella spondilite anchilopoietica rappresenta, al momento, l’unica valida soluzione terapeutica.
Essa infatti, a differenza di altri interventi, permette:
- La scomparsa della sintomatologia algica che, sebbene con frequenza inferiore di quanto comporti l’artrite reumatoide (Halley e Charnley, 1975; Welch e Cahrnley, 1970), è associata alla rigidità.
- Il ripristino della funzione articolare entro valori accettabili.
- La ripresa o il miglioramento della deambulazione.
Per quanto riguarda le complicanze, non abbiamo riscontrato alcun caso di infezione profonda né di mobilizzazione asettica. I 2 casi di flebite non presentano una significatività statistica se si tiene conto del ridotto numero dei pazienti; tuttavia è riportata in letteratura (Welch e Charnley, 1970) una minore incidenza di complicanze tromboemboliche negli interventi di artroprotesi su pazienti affetti da artrite reumatoide e da spondilite anchilopoietica.
Ben più importante è la comparsa delle ossificazioni che possono determinare un insuccesso o un risultato mediocre a breve o medio termine.
Esiste infatti una correlazione fra ossificazione e mobilità articolare. La incidenza di tale complicazione varia tra il 5 % e il 53 %, non è in relazione al tipo di protesi usata ed è maggiore nelle infezioni e negli interventi multipli sull’anca.
Le ossificazioni nella spondilite anchilopoietica possono essere determinate, oltre o insieme ai fattori già riferiti, anche da una recrudescenza della malattia. Ne consegue l’importanza di un controllo continuo del decorso della malattia ai fini della prevenzione di questa complicanza,
L’unica perplessità nell’impiego dell’artroprotesi totale di anca nella spondilite anchilopoietica può derivare dalla constatazione dell’età, in genere giovanile, dei pazienti affetti da tale patologia. È infatti prevedibile, in base all’esperienza di altri Autori (Halley e Charnley, 1975; Bisla et al., 1976) un reintervento per mobilizzazione asettica della protesi in un futuro non molto lontano, sia per la durata limitata dell’impianto, sia per il sovraccarico funzionale dell’anca secondario all’anchilosi della colonna
Riteniamo però che il fattore età, importante nelle indicazioni protesiche in genere, non possa e non debba costituire, nella spondilite anchilopoietica, una controindicazione all’intervento di artroprotesi totale d’anca. Non esistono, infatti, al momento, soluzioni terapeutiche alternative realmente valide, tali da restituire al paziente una sufficiente autonomia e da rendere possibile il suo reinserimento sociale.