Di L. De Palma, F. Greco, A. Santucci
Tra le complicanze dell’intervento di artroprotesi totale d’anca, le ossificazioni periarticolari rappresentano un’evenienza frequente. Tali ossificazioni, se di lieve entità, non comportano significativi problemi clinici; esse possono tuttavia, anche se più raramente, raggiungere dimensioni ragguardevoli tali da compromettere il risultato clinico e da richiedere un ulteriore provvedimento terapeutico.
Desideriamo in questo studio riferire l’esperienza della nostra Clinica al riguardo e prendere in esame le possibili modalità etiopatogenetiche di questa complicanza e gli eventuali mezzi atti a prevenirla.
Abbiamo potuto controllare una serie consecutiva di 89 pazienti sottoposti a intervento di artroprotesi totale d’anca presso la nostra Clinica (dei quali 11 operati bilateralmente) a una distanza variabile di 5-10 anni dall’intervento (in media 7 anni e 3 mesi). Il totale delle anche controllate ammonta pertanto a 100. In questa serie abbiamo escluso i reinterventi eseguiti a distanza di anni e i pazienti affetti da tumori, malattie dismetaboliche, artrite reumatoide, spondilite anchilopoietica. Abbiamo escluso tale patologia al fine di non influire, con altri fattori legati alla malattia di base, sui risultati. La serie è costituita da 66 donne e 23 uomini di età compresa fra i 39 e gli 83 anni (età media 61).
In questi pazienti sono state esclusivamente impiegate artroprotesi cementate dei seguenti tipi:
- Protesi monoblocco di Judet.
- Protesi di Miiller.
- Protesi trapezoidale.
La via chirurgica di accesso all’anca è stata quella di Smith-Petersen, ad eccezione di 2 pazienti operati di rimozione mezzi di sintesi e impianto di artroprotesi nella stessa seduta, in cui è stato praticato un accesso laterale. Non è stata mai eseguita l’osteotomia del gran trocantere.
La patologia dell’anca che ha portato all’intervento chirurgico è stata la seguente:
- Artrosi: 69 anche.
- Necrosi asettica epifisaria: 11 anche.
- Fratture mediali del collo del femore: 10 anche.
- Pseudoartrosi del collo femorale: 4 anche.
- Necrosi post-traumatica della testa del femore: 6 anche.
L’entità delle ossificazioni periarticolari è stata valutata in base alla classificazione di Brooker et al. (1973):
- Ossificazione di grado I: isole di osso nei tessuti molli intorno all’anca.
- Ossificazione di grado II: speroni ossei a partenza dal bacino o dall’estremo prossimale del femore che lasciano lo spazio di almeno 1 cm tra le opposte superfìci ossee.
- Ossificazione di grado III: speroni ossei a partenza dal bacino o dall’estremo prossimale del femore che riducono lo spazio fra le opposte superfìci ossee a meno di 1 cm.
- Ossificazione di grado IV: evidente anchilosi ossea dell’anca.
Seguendo tale classificazione, abbiamo osservato immagini radiografiche di ossificazione in 20 anche così distribuite:
- Ossificazione di grado I: 7 anche.
- Ossificazione di grado II: 6 anche.
- Ossificazione di grado III: 5 anche.
- Ossificazione di grado IV: 2 anche.
Dal punto di vista clinico, le 13 anche con ossificazione di grado I e II presentavano un’escursione articolare normale o limitata di pochi gradi con assenza di dolore. Nelle 5 anche con ossificazione di grado III era presente una limitazione articolare inferiore, in tutti i casi, alla metà della norma.
Nelle ossificazioni di grado IV si è osservata in un caso una funzione articolare limitata per più della metà e una sintomatologia dolorosa insistente; nel restante caso si è riscontrata un’anca pressoché rigida con atteggiamento viziato in extra-rotazione.
Abbiamo cercato, attraverso uno studio della documentazione clinica dei pazienti trattati, di poter individuare le possibili cause o concause di tale complicanza.
In ambedue i pazienti con ossificazioni di grado IV si era verificata, nel decorso post-operatorio, la lussazione della protesi. In un caso si era proceduto alla riduzione incruenta della lussazione e alla confezione di un apparecchio gessato; nel secondo paziente si era reso invece necessario, durante lo stesso ricovero, un reintervento per riposizionamento del cotile (in precedenza, lo stesso paziente, era stato sottoposto a 2 interventi alla stessa anca.
Fra i 5 casi con ossificazioni di grado III abbiamo potuto rilevare una lussazione della protesi ridotta incruentemente e 2 casi di deiescenza della ferita chirurgica che avevano richiesto un intervento di ricostruzione e plastica dei piani. 1 caso aveva subito in precedenza 3 interventi all’anca successivamente operata di artroprotesi; nel restante caso, infine, non è stato possibile rilevare eventuali fattori responsabili delle ossificazioni.
Considerando infine le ossificazioni di grado I e II, possiamo presumere che in 7 casi la causa sia da riferire a un processo flogistico ad andamento cronico. In uno di questi pazienti, infatti, il decorso post-operatorio è stato caratterizzato dalla comparsa di temperatura febbrile, arrossamento ed ematoma in corrispondenza della ferita; tale sintomatologia era regredita con cure mediche. Nelle altre 6 anche si era osservato, nel decorso post-operatorio, un ematoma della ferita; in 3 di questi casi l’esame colturale del materiale drenato era risultato positivo per il Proteus Vulgaris e, in 2 anche, per lo Stafilococcus Epidermidis. In tutti i 6 pazienti, tuttavia, il quadro clinico locale si era risolto con terapia medica. Nelle restanti 6 anche con ossificazioni di grado I e II, dai dati in nostro possesso, non è stato possibile ipotizzare alcun probabile fattore etiopatogenetico, se si eccettua un caso precedentemente operato di osteosintesi per frattura mediale collo femore e quindi di rimozione mezzi di sintesi e impianto di artroprotesi nella stessa seduta per sopraggiunta necrosi post-traumatica.
L’incidenza delle ossificazioni nelle artroprotesi totali d’anca varia notevolmente secondo quanto riportato in letteratura: 0,79 % secondo Aldegheri et al. (1974); 5 % secondo Charnley (1972); 12 % per Parker et al. (1974); 40 % secondo Salvati et al. (1981); 54 % per Aglietti et al. (1982).
Questa ampia variabilità non trova sufficienti spiegazioni e può, solo in parte, essere attribuita al differente controllo a distanza ed ai diversi criteri di classificazione. Parimenti rimangono tuttora oscure le modalità patogenetiche attraverso le quali si instaura il processo di ossificazione periarticolare in un’anca operata di artroprotesi totale. In mancanza di una sicura etiologia, ciascun A., che si è interessato all’argomento, sulla base della propria casistica ha rilevato alcuni fattori da considerare predisponenti alla comparsa di questa complicazione: tipo di protesi impiegata, vie chirurgiche di accesso, reinterventi, flogosi locali, ematomi post-operatori, interventi indaginosi, tecniche chirurgiche e/o fisiatriche non corrette, ecc.
Sull’influenza del tipo di protesi nel determinismo delle ossificazioni periarticolari le opinioni sono discordi. A coloro i quali ritengono tale fattore ininfluente (Brooker et al., 1973), si contrappongono altri A. (Rit- ter e Vaughan, 1977; Ranieri e Toni, 1979) i quali hanno osservato invece una correlazione tra tipo di protesi e comparsa di ossificazioni, pur non sapendo fornire una spiegazione di tale rilievo. Nei casi da noi trattati non è stata riscontrata alcuna sostanziale differenza fra i vari tipi di protesi impiegati.
La via chirurgica di accesso può rivestire, secondo alcuni A (Hamblen et al., 1971; Po- stel, 1975; Bard et al., 1976) una certa importanza. Hamblen et al. (1971), ad esempio, hanno riscontrato una più alta incidenza di ossificazioni nei pazienti operati con approccio anteriore secondo Smith-Petersen rispetto a quelli operati mediante approccio laterale e distacco del gran trocantere. Poste! (1975) ha rilevato una differenza nell’incidenza delle ossificazioni che variava dal 44 % nella via postero-esterna, al 22 % nella via posteriore di Moore fino a scendere al 14,5 °/o nella via postero-esterna con distacco del gran trocantere.
Queste osservazioni di Hamblen et al. e di Postel discordano del tutto da quanto riferito da altri A. (Parker et al., 1974; Preston, 1978; Gualtieri e Gualtieri, 1981) i quali invece riferiscono una più alta incidenza di ossificazioni nei casi in cui si è eseguita la resezione del gran trocantere.
Non siamo in grado di esprimere alcun parere circa l’importanza della via chirurgica di accesso nella formazione delle ossificazioni, poiché l’impiego limitatissimo (due soli casi) di una via di accesso laterale non consente di ricavare alcuna correlazione significativa. Parimenti non abbiamo alcuna personale esperienza per ritenere che la resezione del gran trocantere possa o meno agire da stimolo a una osteogenesi eterotopica; questo tempo chirurgico infatti non è stato mai praticato nei nostri casi.
Accordo pressoché unanime in letteratura vi è invece sulla influenza di altri fattori: interventi protesici ripetuti (Patterson e Brown, 1972; Aglietti et al., 1976), flogosi post-operatorie attenuate (Boitzy, 1969; Men- des, 1973), ematomi post-chirurgici (Parrini, 1974; Gualtieri e Gualtieri, 1981), gravi artrosi osteofìtiche che richiedono interventi estesi e indaginosi (Ritter e’Vaughan, 1977; Lazansky, 1973), tecniche chirurgiche non corrette (Postel, 1975), trattamenti fisioterapici energici e intempestivi (Bard et al., 1976). Abbiamo, in base alla nostra esperienza, sufficienti motivi per ritenere che tutte le situazioni ora elencate possono senza dubbio rappresentare dei fattori che predispongono alla comparsa di ossificazioni periarticolari. Esistono indubbiamente, anche nella nostra casistica, alcuni casi in cui le ossificazioni periarticolari non sono attribuibili ad alcuno di questi fattori cosiddetti predisponenti e nei quali non è ipotizzabile un sicuro movente etiopatogenetico. In questi casi si potrebbe ritenere che esista una predisposizione individuale alla formazione di ossificazioni.
Osservazioni analoghe sono state rilevate da altri A. (Postel, 1975; De Lee et al., 1976; Bard et al., 1976; De Bastiani et al., 1979) i quali parlano genericamente di un terreno predisponente. Postel, ad esempio, a conforto di questa ipotesi riferisce di aver riscontrato la comparsa di ossificazioni in entrambe le anche di una paziente operata in tempi diversi, da chirurghi diversi, con vie di accesso e artroprotesi differenti.
Presi in esame i vari fattori che possono giocare un ruolo patogenetico nel determinismo delle ossificazioni periarticolari, è necessario stabilire se esistano e quali siano le concrete possibilità di prevenzione o di trattamento di questa complicazione. Siamo dell’opinione che la prevenzione richieda necessariamente una tecnica chirurgica corretta (con il rispetto rigoroso delle strutture anatomiche, la completa asportazione dei frammenti ossei durante l’alesaggio, l’asepsi accurata, l’emostasi meticolosa) e un’appropriata rieducazione funzionale. Una condotta terapeutica caratterizzata da questi presupposti può indubbiamente, limitare la comparsa di tale complicazione. Inoltre, come riportato in letteratura, la formazione di ossificazioni periarticolari dopo intervento di protesi totale d’anca può essere prevenuta o ridotta con la somministrazione di difosfonati (Nollen e Slooff, 1973; De Bastiani et al., 1979) o di indometacina (Almasbakk e Ros- land, 1977; Lidgren e Nordstrom, 1979; Ritter e Gioe, 1982).
In tema di trattamento è necessario innanzitutto premettere che la comparsa radiografica di ossificazioni periarticolari dopo artroprotesi non comporta necessariamente un atto terapeutico. Come riportato in letteratura (Aglietti et al., 1976; De Lee et al., 1976; Bard et al., 1976; Aglietti et al., 1982) e come ugualmente si rileva dalle nostre osservazioni cliniche, esiste una grossa percentuale di ossificazioni di lieve entità (I e II grado secondo Brooker et al., 1973) che non richiedono di norma alcuna terapia. A nostro parere, pertanto, unicamente le ossificazioni di grado III e IV accompagnate da una significativa sintomatologia clinica possono essere suscettibili di un trattamento chirurgico di asportazione. La decisione circa una escissione chirurgica è da rinviare comunque fino alla completa maturazione scintigrafica. In tal caso può essere presa in considerazione la tecnica chirurgica di rimozione delle ossificazioni e innesto di tessuto adiposo autologo (Riska e Michelsson, 1979; Abrahamsson et al., 1984).
In conclusione si può affermare che:
- La formazione di ossificazioni periarticolari dopo intervento di artroprotesi totale d’anca rappresenta una complicanza presente in tutte le casistiche, pur con percentuali di incidenza molto differenti.
- Tale complicazione solo negli stadi III e IV può determinare una sintomatologia tale da compromettere il risultato clinico e da richiedere ulteriori provvedimenti terapeutici.
- Le modalità etiopatogenetiche attraverso le quali si verificano le ossificazioni restano tuttora oscure. Esistono tuttavia alcune condizioni che predispongono al verificarsi di tale complicanza: tipo di protesi, vie chirurgiche di accesso, interventi protesici ripetuti, flogosi attenuate, ematomi post-chirurgici, condotte terapeutiche chirurgiche e fisiatriche non appropriate, predisposizione individuale, ecc.
- Al fine di prevenire tale complicanza è necessario praticare un accorto trattamento chirurgico e fisioterapico; sempre a tal fine può essere utile, secondo alcuni A., una terapia farmacologica (difosfonati o indometacina) da iniziare parallelamente all’intervento di artroprotesi. L’asportazione chirurgica delle ossificazioni periarticolari, infine, deve essere limitata ai pochi casi di notevole entità (grado III e IV) accompagnati da una significativa sintomatologia clinica. Tale atto chirurgico comunque è da eseguire solo dopo la completa maturazione scintigrafica della ossificazione.
Riassunto
La comparsa di ossificazioni periarticolari, dopo intervento di artroprotesi totale d’anca, rappresenta una complicanza presente in tutte le casistiche, pur con percentuali di incidenza molto differenti. Tali ossificazioni, se di lieve entità, non creano significativi problemi clinici; esse possono tuttavia, anche se più raramente, raggiungere dimensioni ragguardevoli tali da compromettere il risultato clinico e da richiedere un ulteriore provvedimento terapeutico.
Gli Autori prendono in esame la casistica al riguardo osservata presso la Clinica Ortopedica dell’Università Cattolica di Roma, discutono le possibili modalità etiopatogenetiche di questa complicanza e riferiscono gli eventuali mezzi atti a prevenirla.